Home

Ovvero: perché manca il romanzo d’avventura per tutti del Duemila? / Sergio Sozi o potrebi po pustolovskem romanu danes


Un gran lampo, simile ad una scimitarra di fuoco, lacerò le nubi tempestose, proiettando sulle isole Kafarinas vivi bagliori.

(Emilio Salgari, incipit de “I briganti del Riff”, 1911, ultimo libro pubblicato in vita dall’Autore, che morirà lo stesso anno.)


Editoriale stampa triestina 1989, traduzione di Arnaldo Bressan


“Alamut” (1938) è il romanzo d’avventura sloveno per eccellenza, opera di Vladimir Bartol, il quale per questo corposo libro passò alla storia nel Paese, di fianco – c’è poco da fare, è così – ai serissimi e multi-immortalati France Prešeren (il poeta nazionale) e Ivan Cankar (il narratore nazionale). Nondimeno il nostro Emilio Salgari, all’incirca nello stesso periodo (1862-1911), sfornò, a tambur battente, una impressionante serie di opere, che, ambientate in diversi luoghi esotici asiatici o africani, celebrò, uno per tutti, il carisma del personaggio super omnes: il sanguigno, tardoromantico pirata-gentiluomo malese Sandokan (ben controbilanciato dalla calma riflessività del portoghese Yanez). In quel torno di tempo, ecco poi le avventure del burattino/ragazzino più celebre del mondo, figlio di un ceppo di pino non più, forse, che di un certo Carlo Collodi, ma comunque da questi chiamato Pinocchio (prima edizione in volume, 1883. L’autore visse tra il 1826 e il 1890). Negli Anni Cinquanta del Novecento, spettò ad Italo Calvino (1923-1985) portare una ventata di novità unendo avventure spericolate, romanzo storico e significati umanistico-filosofici in opere immortali come la trilogia “I nostri antenati”. L’Umberto Eco de ”L’isola del giorno prima” (1994), pur non lesinando eventi clamorosi, resterà interdetto ai minori e decisamente pendente in favore delle riflessioni di (e per) vetusti pensatori eruditi e scienziati teorici mentalmente un po’ deragliati. E come non ricordare il principe del romanzo fantascientifico-avventuroso francese, Jules Verne (noi invero lo chiamavamo Giulio e le sue leghe sotto i mari o i suoi giri del mondo li rileggevamo come minimo due o tre fiate. «Ottanta giorni ci mettevano quelli, manco il nonno: roba da Medioevo» direbbe un ragazzino di oggi). Poi ecco gli inglesi, pressoché imbattuti, prima con il padre di Gulliver, Jonathan Swift (1667-1745) ed i picaresco-avventurosi Henry Fielding (1707-1754, demiurgo del dilettevole e affascinante “Tom Jones”) e Daniel De Foe (1660-1731; ah, che duo, gli indimenticabili Robinson Crusoe e Venerdì!), dopo, ancora, grazie ad altri geni quali Robert Louis Stevenson (1850-1894. Un solido, universale archetipo quell’isola “del tesoro”, altro che Eco!) e Rudyard Kipling (1865-1936. Stupendi i suoi “Kim” e “Libro della giungla”). Anche i tedeschi si difendevano bene con Rudolph Erich Raspe (1736-1794) e quell’iperbolico, spiritosissimo e paradossale Barone di Munchausen, illustrato dal Maestro Gustave Doré (consiglio l’edizione di gran formato “Le strenne della BUR”, ottobre 1973).



E questo, solo ad elencare l’essenziale dell’essenziale (e anche meno) presente nella storia letteraria europea degli ultimi secoli. Ed ora, a.D. MMXXI?

Ora, ecco, la nostra impressione è quella che siamo decisamente a crudo del genere e anche di opere a esso associabili. Per quali motivi?

Forse… perché oggi non viviamo abbastanza “pericolosamente”?

Potrebbe anche essere. Tuttavia, nella Torino di fine Ottocento/primo Novecento, in cui Salgari risiedeva senza praticamente allontanarsene mai più di tanto, non credo che i perigli e le fiere stessero in ogni momento a tendere agguati fra le siepi dei giardini pubblici, dietro l’angolo dei palazzi umbertini e forse anche nei pressi delle bicocche di periferia. I briganti, in quell’epoca, infestavano altre aree d’Italia e le messe nere della “Torino magica” erano ben lungi dal provocar disastri reali fra gli abitanti della città del vermut – casomai era proprio questo ad ingrossare fegati, arrossando le epidermidi dei soggetti che fossero clienti troppo abituali dei caffè (il resto dei trasbordi verso l’Ade lo procuravano infortuni vari, malattie veneree ed epidemie. A stringere: pochi gli omicidi in Italia in quell’epoca, tutt’al più a decimare la popolazione erano virus, batteri, incidenti, ossia trascuratezza nelle attività quotidiane, condizioni igieniche precarie, denutrizione diffusa e cronica e spesso pure una “vita spericolata… come Steve Mac Queen” del genere di quella cantata dal caro Vasco Rossi, ossia gli stravizi).


Emilio Salgari



Nei Paesi del Nord Europa, ugualmente o anche meglio si tirava avanti. Niente, o quasi, corsari, ben poche sette di assassini e quasi nessuna scoperta geoetnica dalle impreviste conseguenze sulla salute degli esploratori; casomai una manciata di sommosse popolari e qualche funesta guerricciola, che però veniva combattuta solo dai militari, anche se poi le inevitabili carestie e scorribande colpivano tutti i civili. Ma robette, credetemi. La vita avventurosa in Europa non era troppo più presente che nel 2021. Dovevi proprio andartele a cercare le rogne per fare la fine del morto ammazzato: magari, ecco, inoltrarti in luoghi strani tipo i posti (notoriamente) mal frequentati della regione o della città, o le località permanentemente impervie quali le montagne alte, le grotte inesplorate o i torrenti impetuosi eccetera. E credetemi: gli scrittori di opere d’avventura non ci andavano mica, lì, ci tenevano alla pelle.

Eppure i loro romanzi, per noi e per tutti gli altri lettori delle precedenti epoche, sono magnificamente paurosi, in molti e ripetuti passi, o quanto meno ci inoculano una suspense, un “brivido dell’imprevisto” che ci tiene attaccati a loro, riga dopo riga, azione dopo azione della trama. Come se quegli scrittori avessero vissuto in prima persona tali rischi e frangenti. Per quale maledetto motivo oggi non se ne scrivono più di simili?

Perché la nostra epoca ha raggiunto la saturazione. In tutto. E la saturazione porta con sé una complicatezza mentale che ci rende stanchi, annoiati, disillusi e malfidati, insieme alla sensazione che ogni nuovo libro, uscito ora, sia la semplice ripetizione, in altri termini, di uno o più libri precedentemente creati da altri autori. La saturazione tarpa le ali alla fantasia, all’ingegno artistico (e anche ai sentimenti, alla passione, in genere, per tutto ciò che è parte o conseguenza della vita). Superare questa situazione di stallo epocale è assai difficile; la prima conseguenza del suo persistere risiede nella mancanza di creatività. E non si creano Peter Pan, Robinson Crusoe o Baroni rampanti senza sentirsi vivi, forti, nuovi, giovani, innamorati e belli, e restando solamente perenni epigoni, carte assorbenti di qualsiasi cretinata che i mass-media ci passino, poveri ometti schiavi dell’informatica e lontani da qualsiasi entusiasmo e incanto. Come uscirne?



Ho un’ideuzza. Da quattro soldi, ma meglio che niente.

Mettete in soffitta i libri che ho citato prima e che voi avete letto, dimenticateli (o meglio: cercate di credere di averli dimenticati, un giorno avrete modo di riprenderli in mano; e non preoccupatevi, non crediate di esserne restati privi: essi vi saranno rimasti ben radicati dentro, nell’inconscio che non dorme, anzi lavora instancabilmente, crea, sente e quando vuole si rivela con i suoi mezzi. E quando tornerete a leggerli lo farete per spontanea esigenza di letteratura, non per stanca abitudine di occidentali viziati, iperproblematici e perennemente insoddisfatti). Siate poveri e semplici, autoriducetevi le esigenze e i bisogni: in gran parte sono superflui e vi arrecano più danni che benefici. Dunque fate poche cose ma fatele bene, artigianalmente, con le mani, con gli altri, e state anche da soli, ma soli davvero, non telefonando o scrivendo sul computer, soli senza niente eccetto il vostro corpo e i vestiti che portate addosso; in genere comunicate il meno possibile e dite cose vere, altrimenti tacete, amate il più possibile, fate esercizi di scrittura corsiva a penna su carta, ricordatevi i sogni, se ci riuscite appena svegli e segnatevene i tratti salienti, lavorate il meno possibile e il meglio possibile, se ne avete la possibilità beninteso, o comunque cercate di limitare il più possibile i danni neuronali e spirituali del troppo lavoro e dell’eccessiva, innaturale, forzosa esposizione alla gente – impropriamente chiamata “comunicazione sociale”. Concentratevi su voi stessi – e su ciò che amate davvero, esseri animati o inanimati che siano. Piano piano ritroverete il gusto e il piacere dell’… avventura. Ne sono certo. E qualcuno di voi la scriverà anche, divisa in capitoli, con un titolo, una trama e dei personaggi affascinanti, nuovi, giocondi, potenti, intensi.


(Sergio Sozi, 16 ottobre 2021)

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.