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Ricordando dopo vent’anni la rivista I Polissènidi…

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I Polissènidi non erano una tribù

No, non una tribù, però quasi. Rivista culturale operante in una città, Perugia, adusa ai comportamenti settari (ma incapace di realizzare un’iniziativa analoga), guidata da un gruppo redazionale composto inizialmente da sei giovani non ricchi e non conosciuti, I Polissènidi – Cultura e Idee sbocciò nella primavera del 1995 nel deserto editoriale umbro del settore specifico e senza guardare in faccia a nessuno, dunque povera in canna e sovente ignorata dalla locale accademia (insomma i baroni dell’Ateneo neanche ne conoscevano l’esistenza, tranne eccezioni).

Settecentomila lire di contributo comunale annuo, il resto del bilancio coperto grazie ad abbonamenti e autotassazione da parte dei redattori stessi, una cadenza trimestrale ed una veste tipografica essenziale all’estremo, la pubblicazione fu, in principio, a distribuzione gratuita in libreria e nei punti della Regione Umbria frequentati da studenti, professori, uomini di cultura e semplici cittadini interessati a leggere saggi brevi, racconti, recensioni e interviste a personaggi della cultura internazionale (fra gli altri vi passarono Paolo Conte, Dino Cofrancesco, Guido Ceronetti, Yasser Arafat, Nathalie Sarraute, Jorge Luis Borges e Caetano Veloso, sempre in esclusiva o in traduzione esclusiva da altre lingue). In seguito, mantenendo gratuità e miseria materiale, divenne nazionale. E ne parliamo qui per celebrare il ventesimo anno dalla sua fondazione: la rivista I Polissènidi se lo merita per ciò che ha dato alla cittadinanza in termini di cultura di alto livello, ma anche perché essa fu il risultato tangibile delle fatiche non remunerate di decine di persone di vaglia – intelligenze e sensibilità trascurate da Istituzioni editoria e accademia. Ancor più urge ricordarla in questo anno 2015 perché tuttora essa, analogamente a centinaia di simili iniziative e gruppi intellettuali, non importa a nessuno e in nessun luogo: persa in un’Italia ormai – si può dire mafiosamente? – spartita fra due colossi editoriali che operano senza alcuna obiezione da parte di una Repubblica quanto meno insensibile alle iniziative indipendenti. Dunque crediamo sia giusto parlarne, dopo aver taciuto per ben quindici anni. Hic et nunc. Affinché quella minuscola rivista cartacea, come si dice oggi, divenga un pochino nota anche ai giovani di oggi abituati a navigare in spazi telematici ma un po’ meno tra onde di cellulosa bianca e nera.

Dunque. I Polissènidi, che passò dai cento esemplari fotocopiati (e a distribuzione regionale) del 1995 alle cinquecento copie stampate in tipografia (e a distribuzione nazionale nelle biblioteche dei Capoluoghi regionali) degli anni successivi al 1997, era costituita di quaranta pagine in carta semplice senza copertina rigida e durò fino all’anno 2000 preciso preciso, nel quale si congedò dai lettori di tutta Italia dando loro in omaggio un libro (vediate la foto) e senza rimpianti, se non quello di esser durata troppo poco per la vitalità e l’entusiasmo che ancora si abbarbicava all’animo dei suoi fautori; i quali, comunque, negli ultimi tempi, erano saliti di numero concedendosi anche svariati collaboratori esterni sia saltuari che continuativi, nonché molti incontri pubblici ben partecipati e fervidi di proposte, idee e discussioni culturali, specialmente letterarie.

E se gli argomenti erano indiscriminatamente affrontati senza badare a spese mentali (letteratura, arti visive, teatro, politologia, musica e cinema, però, i campi di studio più trattati, con un certo sopravanzo della letteratura) nonché quasi mai d’interesse largamente popolare, il vero e proprio blasone contraddistintivo della rivista era e restò nella testardaggine dei redattori che – in un Paese in cui burocrazia e politica godono nel mettere i bastoni fra le ruote ai giovani sani e creativi – riuscirono a realizzare una propria iniziativa senza dover soggiacere a tessere partitiche, raccomandazioni dei soliti ras o conoscenze personali.

Quel che si suol dire: un caso di piccola imprenditoria culturale indipendente, autocreatasi dal basso ed utile, in una Nazione in cui tutto deve essere già stato ideato costituito e stabilizzato (sovente malfunzionando) da altri. Banalità per banalità: gli altri siamo noi. Non dimentichiamocelo, anche nel campo culturale.

Sergio Sozi

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1 thoughts on “I Polissènidi non erano una tribù

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