In occasione della recente morte dello scrittore triestino pubblichiamo un’intervista con lui, fatta da Sergio Sozi nel 2006 a Lubiana. / Ob smrti tržaškega pisatelja Pina Rovereda objavljamo intervju, ki ga je z njim naredil Sergio Sozi leta 2006 v Ljubljani,
V slovenščini lahko beremo njegov roman Sporoči mi (Mandami a dire, Mladika, prev. Magda Jevnikar). Leta 2012 je bil vabljen na Vilenico (njegova zgodba Germanine ivanjščice je v takratnem zborniku, zaradi bolezni pa se festivala ni mogel udeležiti). V slovenskih revijah in časopisih je bilo objavljenih tudi več intervjujev z njim. Leta 2005 je prejel prestižno literarno nagrado campiello.
Pino Roveredo
Da un recente articolo di blog, cito:
Prelevato l’altra sera dalla scrivania di P., finito di leggere ieri sera, ˝Mandami a dire˝ (P.Roveredo, Bompiani 2005) è un libriccino di racconti subproletari di qualità diseguale; i migliori sono belli, strani e commoventi, altri magari un po’ banali. Quelli migliori, spesso radicati nell’autobiografia, sono però da leggere. Pino Roveredo è un autore particolare, con un passato vario che potrebbe farlo assomigliare ad un Bukovski, se non fosse che rifiuta la retorica del maledettismo (ma anche i moralismi). La stranezza sta, a volte, nel linguaggio: autore poco letterario, Roveredo non è però esattamente naif, sa cosa fa, con un effetto molto personale di prosa poetica (e, sì, qualche caduta, qualche ingenuità).
Bene, anzi ottimo: da aggiungere a questa presentazione blogghistica (di tal imprecisato Enzo), mi restano solo pochi dati, i seguenti: incontrai Pino Roveredo, autore del sovracitato libro di racconti (Premio Campiello 2005) a gennaio del Duemilasei, a Lubiana, in occasione di un suo incontro pubblico. Ed ero scettico, dubbioso, perché quando un libro nato male (cioè fuori dai circoli letterari) raggiunge un premio tosto, credo, o c’è la politica di mezzo, o il generico buonismo per le storie di emarginazione (che fanno tanto realismo), o altre cose orrende come il rappezzamento metodico degli editors. Dubbi fugati? A giudicare dalla sincerità di Roveredo, direi di sí. O meglio confido.
Allora il Campiello 2005 Le appartiene: la Giuria dei Letterati L’ha messa affianco ad Antonio Scurati. Le Sue impressioni riguardo all’essere ex aequo con un altro scrittore abbastanza giovane.
Sí, sono giovane anch’io, giovane d’umore. Sa, io, la sera prima del verdetto mi ero augurato che ci fosse un grosso colpo a sorpresa e tutti e cinque vincessimo il Premio… dico: per toglierci tutte le ansie, anche se, per la verità, la mia ansia forse era minore, perché già ero felice di essere nella cinquina – era già ricca ed abbondante. Però, evidentemente nella vita mai dire mai: forse meno si spera e piú si ha.
A proposito di premi letterari, Le faccio un nome: quello di Sebastiano Vassalli, che proprio non vuole partecipare ai premi, e lo specifica a chiare note nei suoi libri. Lei cosa ne pensa, in generale, di un premio letterario italiano?
Be’, io rispetto la scelta di Vassalli e rispetto la scelta mia. Sa, forse io sono il meno indicato per parlare di premi letterari, perché non li ho mai ambiti o cercati – non lo dico per presunzione: non sputerei mai sul piatto che mangio, anzi ne sono ben felice, mangerei anche il secondo – ma non è stato mai quello lo scopo della mia vita, il Premio Campiello; lo scopo della mia vita è quello di studiare e di diventare uomo, figurati se posso inseguire i premi campiello. Però ribadendo: il mio premio è stato ed è condiviso da moltissime persone che stanno facendo fatica e stanno cercando di risalire una china e… capire che uno di loro ha vinto il Campiello, va be’, anche questa è una grossa dimostrazione.
Certo, Lei stava riferendosi ad un discorso diciamo di carattere extraletterario, sociologico o di ambiente.
Mhh… io non lo chiamerei extraletterario: perché ogni volta questo scindere nel disagio fra il sociale e il letterario? Credo invece che la letteratura pertenga molto a quel mondo del sociale e sia molto frequentata in quel mondo del disagio.
Alda Merini.
Ma assolutamente, Alda Merini… ma sono soprattutto i lettori che vivono il disagio che spesso si salvano o si riempiono il niente da fare con le letture. Sono molto piú competenti anche delle persone che godono di un’ottima salute però non hanno mai tempo per nessun tempo.
Be’ certo, poi oggi viviamo una realtà che consuma il tempo – parlicchiamo delle differenze ed analogie fra la sua Trieste e Lubiana, dello scarto storico fra le due città, occasione per lui di puntualizzare qualcosa che gli sta a cuore:
Posso dire una cosa su Trieste? Io ho vissuto molte utopie: quella di rientrare in carcere ed essere abbracciato dal direttore, senza passare dall’ufficio matricole; son stato premiato dal sindaco col sigillo della città e questa era una delle conseguenze del Campiello. Ricordo che quando il sindaco mi paragonò a Saba e a Svevo, in un momento di delirio, dissi ˝No, la prego, si fermi, ché quelli rappresentano il petto della città, io invece felicemente rappresento la schiena della città˝ e nella schiena della città non è mai uguale al centro, ovvero al petto: nella schiena di Trieste c’è molta vitalità e molta voglia di solidarietà, voglia di comunicare, di esser meno triestini di petto insomma.
A proposito di Letteratura italiana, quali sono i Suoi gusti?
Non sono un esperto, né uno di quelli che fingono ad ogni titolo di aver letto ˝quel libro˝. Perché cosí è: parecchie persone credo leggano in media – se dicono sempre di sí – quaranta libri al giorno. Impossibile. Io comunque ne ho letti pochi e in modo confuso però ho dei gusti precisi: Claudio Magris, ˝Alla cieca˝, l’ultimo suo romanzo, io lo definisco un capolavoro e credo che sarà un libro che entrerà nella storia; però c’è uno scrittore ed un libro – che io ho regalato a tutti i miei tre figli, ad ognuno lo stesso libro – ed è ˝Se questo è un uomo˝ di Primo Levi; che è un libro che mi ha salvato in carcere, che mi ha fatto capire come si può essere dignitosi anche nel momento della sconfitta, della bastonata. Questa è una cosa essenziale: c’è un passaggio di persone che continuavano a lavarsi e a curarsi nonostante l’imbarbarimento per salvarsi. Questi per me sono stati dei consigli. Poi ci sono stati degli autori non italiani che… eh… io sono un Simenon-dipendente.
Camilleri?
Ma sí, lo leggo, però, sa, essere appassionati è una cosa e leggerli con piacere è un’altra. Io ho questa grande passione per Magris e, ripeto, per ˝Se questo è un uomo˝. Lo potrei anche citare a memoria.
Scriverebbe mai in dialetto, lei?
Io scrivo in dialetto, sa? Penso in dialetto e scrivo in italiano, insomma.
Ma io parlavo di quello che scrive, non di quello che pensa.
Sí, ho scritto in dialetto: commedie, atti unici. Perché è difficile esprimere un umore non in dialetto: come si fa ad arrabbiarsi non in dialetto? Guardi che è impossibile.
(Sergio Sozi, gennaio 2006)

zelo lepo!
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Grazie molte, hvala lepa.
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